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Perché Louis-Ferdinand Céline è stato forse lo scrittore più amato, aborrito, e comunque discusso, del Novecento? Dopo aver sorpreso ed esaltato i lettori con la straordinaria fantasmagoria verbale dei romanzi d'esordio, Céline si invischiò, con i suoi pamphlet antisemiti e con il suo comportamento controverso durante la Seconda guerra mondiale, nel fango di una dilagante polemica. Le sette interviste raccolte in questo volume (apparse su riviste, a volte semplicemente registrate e pubblicate postume nella stessa Francia) gettano luce su tutti gli aspetti del «caso Céline». E stese lungo un arco temporale che dall'immediato dopoguerra giunge fino all'anno di morte dell'autore, esse ci mostrano, da parte degli intervistatori, una grande varietà di atteggiamenti. Se François Nadaud sembra affrontare lo scrittore secondo un partito preso di condanna, affiora nelle parole di François Gillois la commozione di chi aveva sognato sulle pagine di Viaggio al termine della notte. Se l'intervista di Chambri appare un po' troppo schierata dalla parte del romanziere, la lunga conversazione tra Céline e Francine Bloch assume toni più amabili e rilassati. Ma è proprio tale diversità a fornirci un'immagine completa dell'autore, a indicarci il senso più profondo di certe vicende. Tutti i grandi temi della leggenda céliniana prendono corpo in queste pagine, accostati a una discussione propriamente artistica: sulla vocazione alla scrittura, sulla questione dello stile e sulle sorti del romanzo. Di più, i testi qui presentati ci rivelano un toccante ritratto: dall'esilio politico in Danimarca a quello «morale» nella periferia parigina, Céline è «messo a nudo» innanzitutto come uomo, con le sue difficoltà materiali, le sue ossessioni, il suo senso di persecuzione, i suoi tormentati slanci.